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Fare “naming” significa creare un nome d’effetto per il proprio business o prodotto: esiste una branca del marketing costituita da esperti appositamente formati per trovare e/o coniare il nome perfetto per ogni brand. Fare in modo che risulti efficace e che “faccia vendere” potrebbe apparire relativamente semplice, ma il naming cela alcune insidie alle quali bisogna prestare attenzione.

La vera importanza del naming

Le fondamenta di un business di successo sono sostanzialmente riducibili a un buon nome e a una buona proposta commerciale.

Il nome costituisce il biglietto da visita dell’azienda: trovarne uno adeguato decreta il successo del brand in quanto lo andrà a inserire in una posizione di vantaggio all’interno della mente del consumatore.

Nell’immaginario comune, si è portati a pensare che un nome debba contenere necessariamente la descrizione del prodotto a cui è associato, o quantomeno evocarlo il più possibile.

Si tratta del falso mito del nome descrittivo, una trappola letale da scansare a tutti i costi.

Puntando sulla descrizione si rischia di finire inghiottiti dalla palude del marcato, ormai saturo di brand e prodotti tutti molto simili tra loro. Venire scambiati per la concorrenza, non considerati o addirittura dimenticati dal consumatore è di quanto peggio possa succedere a un marchio. Un nome descrittivo manca di personalità e originalità, due prerogative per catturare l’attenzione del cliente.

Tra gli anni ’60 e ’80 del XX secolo, questa strategia di naming ebbe un boom in quanto tantissime aziende stavano lanciando per la prima volta un determinato tipo di prodotto o servizio, ma al giorno d’oggi risulterebbe pressoché impossibile nominare un qualcosa rimanendo descrittivi e allo stesso tempo unici.

Facciamo l’esempio di un’azienda veneta produttrice di batterie elettriche, la Superpila, fondata nel lontano 1917. Tra gli anni ’60 e ’70, il marchio registrò una forte espansione, che poi andò scemando rapidamente negli anni ’80 con l’avvento di numerosi competitor internazionali, la cui brand identity era nettamente più forte.

Un nome così descrittivo come Superpila, per quanto diretto, semplice e chiaro, funzionò alla grande finché il mercato dava ancora la possibilità di respirare: con l’evoluzione delle dinamiche commerciali e la nascita di grandi multinazionali, un nome del genere è passato dell’essere esclusivo, a essere totalmente anonimo, data la sua natura comune e descrittiva. Superpila venne quindi inglobata dal gruppo Duracell Batteries, oggi colosso mondiale del settore.

Mosse per trovare il nome perfetto

È risaputo, il marketing è l’arte di saper vendere un prodotto creando a proprio piacimento la percezione dello stesso nella mente del consumatore. Al contrario, il managing di un’azienda consiste nella creazione di un brand di qualità, mantenendo intatta la lealtà tra filosofia, immagine e prodotto stesso.
Se chiedessimo a un manager di fare naming per la propria azienda, infatti, la sua mente analitica e lineare lo porterebbe senz’altro a optare per qualcosa di diretto e autodescrittivo, proprio come nel caso di Superpila, che è finito per trasformarsi in un claim poi utilizzato da altre centinaia di aziende senza troppi impedimenti.
Come non incappare nello stesso errore madornale? Vediamo insieme tutti i passi da seguire per denominare in maniera impeccabile il proprio prodotto, catturando l’attenzione del consumatore.

Denominare un prodotto o un brand non è semplice come si potrebbe pensare. Dietro a poche sillabe si nasconde un impegnativo lavoro di squadra di giorni e giorni.

Ancor prima di iniziare a buttare giù le prime idee, è necessario studiare a fondo la concorrenza per capire la composizione del mercato attuale e valutare la disponibilità e assonanza con altri marchi già esistenti.
Il secondo passo è realizzare un brainstorming completo, dal quale si trarranno tutti gli spunti per poi passare al vero e proprio lavoro di ricerca e composizione del nome.
Sappiamo che “l’abito non fa il monaco”, ma nell’ambito del marketing il nome gioca un ruolo fondamentale nella riuscita di un brand emergente.

-Il nome perfetto si trova a metà strada tra la semplicità e la facilità di memorizzazione, e la personalità data da un termine o un’associazione di termini nuova e/o insolita. Un nome troppo descrittivo viene spesso percepito come freddo e impersonale.

-La curiosità è ciò che determina la scelta di un brand a discapito di un altro. Il nome che stiamo valutando suona stimolante e accattivante alle orecchie di un potenziale cliente? Se la risposta è NI, meglio passare alla prossima proposta.

-Meglio non pensarlo eccessivamente arzigogolato, difficile da ricordare e pronunciare. La mossa vincente è verificare che possa essere facilmente pronunciato anche da madrelingua diversi e che non risulti sconveniente in altri idiomi.

-Giocare con doppisensi, allitterazioni e ossimori è un’ottima strategia per creare un nome originale e stimolante,

Lavorare con la fantasia è fondamentale, ma bisogna sempre tenere bene a mente quale siano l’identità e la mission del brand: la coerenza tra questi due aspetti viene prima di qualsiasi altra cosa.
Inoltre, i nomi completamente inventanti, pur avendo una marcia in più a livello di impatto, possono costituire un’arma a doppio taglio in quanto richiedono uno sforzo maggiore per essere associati a un determinato prodotto.

Ovviamente esistono eccezioni alla regola, a cui ci si può appellare quando le circostanze giocano a proprio favore.
Per esempio, se un brand affermato e conosciuto decide di introdurre una nuova categoria di prodotti o qualora i competitor avessero adottato a loro volta nomi banali e descrittivi.

In conclusione, non esiste una scienza esatta per l’individuazione del nome perfetto, l’importante è che il termine scelto strizzi l’occhio al futuro invece di rievocare tempi passati: si rischia un rapido decadimento del marchio come abbiamo visto con l’esempio sopracitato di Superpila.

Esempi di nomi che hanno fatto la storia

Nell’arco dell’ultimo secolo, sono stati diversi i brand a insediarsi con successo nella mente dei consumatori, grazie all’attuazione di alcune o tutte le strategie elencate in precedenza.

Prima fra tutte l’intramontabile Nutella, la crema spalmabile di casa Ferrero che nel 1964 abbandonò il precedente appellativo di “SuperCrema” (un perfetto esempio di nome descrittivo ma anonimo e impersonale), per virare verso uno dei sinonimi di globalizzazione del mondo moderno.

Tantissimi marchi, nei decenni successivi, hanno tentato la scalata alla vetta ma nessuno è mai stato in grado di spodestare la Nutella.

Un altro cambiamento più che riuscito riguarda la catena di supermercati Esselunga, pioniera della GDO in Italia: il primissimo punto vendita si chiamava semplicemente “Supermarket”.

Dopo 10 lunghi anni trascorsi sotto questo nome, grazie a un’iconica campagna pubblicitaria, la catena assume il nome di Esselunga, sbarazzandosi della possibilità di rimanere inghiottita dalla palude dei nomi simili e assonanti che si sarebbe manifestata da lì a poco tempo.

Altre aziende che hanno fatto dei loro nomi di fantasia un punto di forza sono Apple, Nike, Red Bull, Dove e Grey Goose.

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Dopo più di un anno di restrizioni causate dalla pandemia di Covid-19, sono drasticamente cambiate le esigenze e le abitudini di acquisto dei consumatori.

A causa del confinamento forzato e dell’alone di incertezza che circonda il futuro, si è spinti verso il soddisfacimento solo dei bisogni immediati, tralasciando gli acquisti e gli investimenti in tutti quei settori incentrati sul lungo termine.

Di fronte al repentino sconvolgimento della quotidianità, in quanto commercianti è stato necessario munirsi di spirito d’adattamento e dimostrarsi pronti al cambiamento. Vediamo quindi insieme come fidelizzare la clientela nell’era post-covid.

Due tipologie di fidelizzazione del cliente

Chiusura fisica delle attività commerciali non deve significare immobilità e silenzio da parte degli esercenti: per rimanere a galla e continuare a prosperare in un periodo di recessione come quello attuale, è necessario reinventare il proprio business in base al nuovo quadro socio economico. Ora più che mai, è la fedeltà della clientela a determinare il superamento della crisi da parte di un’attività commerciale di piccola o media entità. Come ottenerla? “Semplicemente” soddisfacendo appieno il proprio cliente.

Esistono due diverse tipologie di fedeltà del cliente: la “customer loyalty” e la “brand loyalty”.

Nel primo caso, il cliente vira verso un brand per la necessità momentanea di un determinato prodotto, spinto da un prezzo più competitivo rispetto alla concorrenza. Nel secondo invece, il cliente sceglie il brand a prescindere dal prezzo, in quanto sicuro della sua qualità e della soddisfazione che trarrà da quell’acquisto. Si tratta quindi di una fedeltà basata sulla percezione positiva che il consumatore ha del marchio.

Nell’era post covid, la brand loyalty è senz’altro quella a cui aspirare e su cui puntare, per non dover ricorrere a una guerra al ribasso dei prezzi al fine di conquistare nuovi clienti.

Dopo la pandemia, i sondaggi hanno riscontrato quanto il consumatore tenda a orientarsi verso il rivenditore fisicamente più vicino, ma ciò non costituisce comunque una garanzia di fedeltà: per un cliente sempre più attento ai dettagli basta anche solo una piccola sfaccettatura percepita come negativa per cambiare punto vendita di riferimento. I prezzi, la selezione di prodotti offerta e il servizio clienti sono tutti fattori determinanti ai fini della fidelizzazione.

Tecniche per aumentare la fidelizzazione del cliente

Come abbiamo visto, in una situazione socio-economica di recessione e difficoltà, è senz’altro più saggio mirare al mantenimento della clientela attuale, piuttosto che tralasciarla per accaparrarsene di nuova. Ecco i passi da seguire per riuscire nell’intento.

Coltivare la relazione con i propri clienti tramite social, newsletter e messaggi farà percepire il brand come “attivo” e “propositivo”. Questo step viene reso possibile soltanto se in precedenza si aveva già avuto premura di raccogliere i dati della clientela e salvarli all’interno del proprio database, ovviamente nel pieno rispetto delle normative sulla privacy.

Implementare i propri canali digitali: in un momento in cui la vicinanza fisica viene a mancare, è necessario più che mai puntare sulla vicinanza virtuale. I clienti stanno apprezzando e si stanno abituando a servizi già preesistenti, oramai diventati indispensabili: e-commerce di qualsiasi natura, consegne a domicilio per la ristorazione, servizi di streaming e intrattenimento, siti per conferenze e riunioni online. Queste sono solo alcune delle realtà che stanno prosperando in una situazione di pandemia globale, proprio perché necessarie allo svolgimento della cosiddetta “nuova normalità”.

Venire incontro alle esigenze del cliente: un brand che nel momento di crisi propone periodicamente offerte e promozioni, così come metodi di pagamento flessibili, verrà visto positivamente dal cliente, che continuerà ad acquistare invogliato dalla “vicinanza” e “comprensione” che il marchio ha dimostrato di possedere.

Esprimere empatia verso il cliente: il trattamento che riserviamo al consumatore in una situazione del genere, determina come verremo percepiti in futuro. Da un anno a questa parte, ad avere la meglio sono stati i brand che hanno sin dal principio espresso apprezzamento, amore e sostegno nei confronti del cliente, per farlo sentire coccolato, capito e supportato. Un esempio sono gli istituti di credito che hanno congelato o ritardato i pagamenti, o i siti di viaggi e alloggi che hanno concesso sempre più frequentemente l’opzione di cancellazione gratuita.

-Di pari passo con l’espressione di gratitudine, viaggia anche la capacità di prendere iniziative e offrire esattamente ciò di cui il cliente ha bisogno, nell’esatto momento in cui ciò si verifica. Per fare questo è necessario migliorare costantemente le proprie skills di comunicazione ed empatia, e la formazione del personale a contatto diretto con il consumatore.

Avvalersi di pubblicità responsabile: i messaggi e le campagne pubblicitarie dovranno essere consoni al periodo storico evitando sensazionalismi ma esprimendo sensibilità e comprensione.

Responsabilità sociale: i sondaggi hanno dimostrato che il 64% dei consumatori opta per brand impegnati in cause socialmente utili, a discapito di altri senza questa prerogativa. In un momento di crisi generale in tutti gli aspetti della vita, inserirsi all’interno di almeno uno di questi apportando il proprio contributo innalzerà la percezione del cliente e di conseguenza anche la brand loyalty.

Studiare le buyer personas: ultima ma non per importanza, una tip dal sapore più tecnico rispetto alle altre. Essendo cambiate le abitudini di acquisto, potrebbero essersi designate diverse buyer personas all’interno del nostro target. Sappiamo a quale nello specifico ci vogliamo indirizzare? Se la risposta è no, è necessario ristudiare questo capitolo per poter offrire alla nostra clientela il miglior servizio possibile che, come già anticipato, corrisponde al massimo della lealtà a cui aspirare.

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