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Nudge marketing: quando e per quale motivo la persuasione è la migliore strategia

Tra le numerose teorie comportamentali applicate al marketing nell’ultimo decennio, troviamo quella del “nudging”, ossia della sottile persuasione. L’utente, l’acquirente o il cittadino vengono delicatamente indirizzati verso il compimento di un’azione predeterminata senza far loro percepire la minima obbligazione. Scopriamo di più sul nudge marketing e come sfruttarlo in ambito di web marketing.

Cos’è il nudging

La strategia basata sui nudge (in italiano letteralmente “piccole spinte”) si appella alla psicologia e in particolare alla behavioural economy per portare il soggetto a prendere decisioni prevedibili e precedentemente delineate, semplificando e snellendo i pattern mentali necessari per giungere a una scelta autonoma. Vengono utilizzati dei rinforzi positivi celati che facilitano alla persona il processo decisionale, spesso fonte di agitazione, ansia, stress e pentimento. I comportamenti vengono quindi modificati in maniera del tutto volontaria: non si tratta di manipolazione, ma di una “linea guida” proposta con lo scopo di alleggerire il peso mentale della persona, e di spingerla a compiere azioni più consapevoli nei riguardi di sé stessa o dell’ambiente circostante.

Il nudging funziona proprio perché non impone un cambiamento radicale senza possibilità di scelta, ma modifica la cosiddetta architettura decisionale in modo che l’utente scelga autonomamente la strada prefissata da chi mette in atto la strategia, sia con finalità sociali che economiche. Stimolando i processi mentali relativi alla scelta desiderata e cambiando l’offerta dell’ambiente, si gettano le basi per un approccio di nudging sottile e persuasivo.

I primi a esporre la teoria del nudging furono Cass Sunstein (studioso di diritto) e Richard Thaler (economista), agli inizi degli anni ‘2000. Entrambi si confermarono successivamente come personalità di spicco nel mondo dell’economia e della finanza, partecipando addirittura a un’iniziativa del 2015 del presidente Obama sull’adozione delle scienze comportamentali, e quindi del nudging, in ambito politico, economico e governativo.

Prima che al termine nudging venisse conferito il significato attuale, lo stesso schema veniva riportato come “paternalismo libertario“. Una definizione diversa per indicare la medesima strategia: al soggetto viene data la libertà di scegliere per sé (da qui l’aggettivo libertario), ma sotto la guida attenta di chi sa cos’è meglio per lui (il cosiddetto paternalismo).

Libertà e guida sono i due pilastri fondamentali che danno vita alla teoria del nudge.

Quali sono gli obiettivi del nudging

La teoria del nudge si è rivelata estremamente utile ed è ben presto giunto il momento di traslarla dal piano astratto a quello pratico, facendo leva su tecniche cognitive e di neuromarketing. Talvolta le azioni di nudging sono talmente sottili o intrinseche da parte delle aziende o società, che è persino complicato riuscire a identificare la linea di separazione tra identità e tecnica di marketing.

Secondo la teoria, in quanto esseri umani disponiamo di due sistemi di pensiero opposti tra di loro: da una parte troviamo il Sistema 1, quello più veloce, intuitivo, che non richiede ragionamento e che spesse volte incappa nell’errore. Dall’altra il Sistema 2, più razionale, lento a processare e incentrato sul pensiero critico. Sappiamo anche che per indole siamo più propensi a scegliere tutto ciò che è comodo e facile da ottenere (sistema 1), cercando di evitare la fatica che un ragionamento più complesso potrebbe comportare (sistema 2). Da qui nasce l’applicazione del nudging nell’ambito del marketing: sfruttando la suddetta verità, le aziende indirizzano i clienti verso determinate scelte, premiandoli con un’esperienza di acquisto semplice, intuitiva e senza stress.

Tuttavia, lo scopo del nudge marketing non è e non può essere il mero incremento delle vendite, quanto piuttosto un maggior benessere del consumatore. Un’esperienza d’acquisto ottimizzata porta inevitabilmente a un ampliamento della brand awareness, di cui avevamo parlato nel dettaglio qui.

Calcare troppo la mano con azioni di nudging, infatti, sortirebbe l’effetto esattamente contrario: per natura l’uomo non accetta di buon grado di essere comandato, o per lo meno non in maniera esplicita e diretta.

Per poter funzionare, una strategia di nudging richiede tre requisiti fondamentali da parte del soggetto: che abbia i mezzi e le capacità per portare a termine l’azione richiesta, che sia motivato a farlo e che possa recepire uno stimolo che scateni l’azione “consigliata”. Tutto questo presuppone una conoscenza approfondita del proprio target, basata su ricerche, monitoraggi e raccolta di dati.

Come si applica il nudge marketing

Dopo aver sviscerato la teoria e aver compreso i reali motivi che stanno dietro una strategia di nudging, è giunto il momento di capire come sia possibile metterlo in pratica. Dal marketing offline a quello online, quelle veicolate dal nudge marketing sono sempre scelte implicite e scontate, che il soggetto attua volontariamente.

Se si è titolari di uno store fisico, avere cura di etichettare tutta la propria merce, indicandovi le caratteristiche di ogni prodotto e possibilmente mettendo in risalto ciò che lo contraddistingue della concorrenza, costituisce di per sé un’azione di nudging tra le più basilari. Un produttore che metta in commercio una tipologia di prodotto con meno calorie e grassi rispetto alla concorrenza può trarre benefico dall’indicare in maniera chiara sull’etichetta i valori nutrizionali che rendono il prodotto migliore degli altri. La scelta implicita compiuta da un consumatore attento alla linea, o interessato al dimagrimento, è l’acquisto del prodotto a discapito di tutti i competitor.

Se invece si possiede un ecommerce, il nudge marketing avrà a che fare con l’ottimizzazione di tutti i processi di navigazione. Badge, etichette, pop up, overlays che appaiono al momento giusto possono fare la differenza: attenzione però a non esagerare, rendendo più difficile l’esperienza del consumatore.

Un esempio di nudge nella fase del checkout è, banalmente, la spedizione gratuita, oppure una sola opzione di pagamento possibile, in modo che l’utente non debba spendere nemmeno una manciata di secondi a scegliere quale utilizzare. Anche il famoso “one click checkout” di Amazon, che snellisce al massimo il processo alleviando il “dolore da pagamento” che diversi passaggi possono instillare al cliente, è un ottimo esempio di nudge marketing di successo. Quest’ultimo, applicato alle vendite online, è volto all’incremento dell’autonomia degli utenti nell’esperienza di navigazione, grazie a sezioni dedicate e personalizzate come le classiche “I tuoi preferiti”, “Suggeriti per te”, oppure “Abbinalo con…”. Anche in questo caso, il cliente avrà soltanto l’impressione di stare scegliendo ciò che desidera, quando concretamente lo sta facendo tra le opzioni che il venditore ha deciso deliberatamente di proporgli.

Parlando di tematiche sociali, sono numerosissime le iniziative promosse a livello globale che hanno mostrato notevoli risultati: prima fra tutte una campagna di sensibilizzazione contro l’inquinamento da mozziconi di sigaretta. Nel Regno Unito sono stati installati diversi bidoni della spazzatura trasparenti, uno con su scritto Ronaldo, e l’altro con la scritta Messi. Al di sopra dei cestini appariva la scritta “Vota il miglior giocatore di calcio al mondo”. I passanti venivano così spinti in maniera ludica, divertente e per nulla forzata a depositare le proprie cicche all’interno dei bidoni per votare il calciatore, invece di gettarle a terra. In poco più di 4 mesi venne riscontrato un 46% in meno di mozziconi in strada nelle aree soggette all’esperimento. Lo stesso venne fatto in USA, con un miglioramento del 74% in 6 mesi.

La tecnica sopracitata, oltre al nudging, mette anche in pratica un’altra strategia di marketing molto in voga: quella della gamification. Scopri di cosa si tratta qui.

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